Parigi da sempre è il luogo dove scrittori e pittori, registi e poeti, musicisti e sceneggiatori hanno trovato occasioni per sviluppare il loro estro. Non si tratta solo del fascino di una città seduttiva ma anche e soprattutto la possibilità di essere un luogo della libertà dove convergevano personaggi che, abbandonate per ragioni religiose, politiche o sociali le loro terre, lì si ritrovavano incrociando con altri idee, spunti, riflessioni. In campo fotografico le cose non sono andate diversamente e una storia a parte meriterebbe la folta colonia di americani dove qui hanno trovato una nuova patria. Ai più noti nomi di Man Ray, Paul Strand, William Klien altri ce ne sono di altrettanto interessanti come David Seidner cui la Galleria Carla Sozzani (corso Como 10, aperta tutti i giorni 10.30-19.30 mercoledì e giovedì 10.30-21 fino al 1° novembre) dedica una calibratissima e raffinata retrospettiva, la prima realizzata in Italia del fotografo scomparso a soli quarantadue anni nel 2009.
A Parigi ci era arrivato diciassettenne nel 1974 dalla sua Los Angeles per affermarsi subito nel campo della moda, un settore dove ogni intelligente sperimentazione da sempre viene accettata di buon grado se è autentica. Seidner sull’autenticità puntava se non altro perché era subito entrato a far parte di un gruppo di intellettuali e artisti d’avanguardia che girava attorno alla figura del grande coreografo Merce Cunningham. Lì incontra – siamo nel 1977 – il musicista d’avanguardia John Cage : il ritratto che gli realizza proprio in quell’anno rappresenta un esempio straordinario di contaminazione creativa. L’accostamento verticale di cinque fotografie ognuna delle quali riprende una porzione del corpo di Cage è un omaggio alla sua “Music of Changes” realizzata nel 1951 accostando suoni all’interno di strutture geometriche comandate da un meccanismo in modo volutamente casuale. Questi ritratti (ne sono esposti anche di Bob Wilson e di un Robert Mapplethorpe che sembra Jimi Hendrix) sono il punto di partenza per un percorso dove si alternano ricerche personali e immagini di moda ma non immaginatevi che ci siano sostanziali differenze fra questi due ambiti, anzi, perché un fotografo colto e amante della classicità non poteva che continuamente ispirarsi al bello. Quello dei busti della scultura romana che riprende in primi piani di grandi artisti amici (Louise Boureois, Roy Lichtenstein, Jasper Johns) in un bianconero dove luce e ombra si confrontano in un dialogo aspro. Lavorando per Yves Saint Laurent, Chanel, Valentino, Ungaro, produce immagini innovative creando collage, utilizzando frammenti di specchi che moltiplicano le immagini, facendo propria la lezione di grandi autori del passato come Irving Penn nel bianconero e Erwin Bluemenfild nel colore.
Il percorso prevede infine due ricerche fondamentali: una sui minuscoli manichini con riproduzioni degli abiti di stilisti francesi realizzati per promuovere la moda francese e una di ritratti realizzati per Vanity Fair dei discendenti dei nobili inglesi e americani dipinti da John Singer Sargent alla fine dell’Ottocento ripresi in ambientazioni e con costumi d’epoca. Prevale fra tutti il ritratto di Louise Neri, attuale direttrice della famosa galleria d’arte newyorkese Gagosian che di Seidner è stata una delle prime estimatrici: le braccia appoggiate allo schienale di una poltrona guarda in macchina con uno sguardo acuto, quello che il fotografo sapeva sempre cogliere.
Roberto Mutti